In Italia una legge per aprire all’eutanasia?

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di Paolo e Luca Tanduo

venerdì 20 gennaio 2017
 
Alla Camera dei Deputati nella Commissione Affari sociali è in discussione la legge sull’eutanasia, certo non le hanno dato questo nome ma il risultato sarà questo.
Infatti nonostante nell’art. 1 si parli di “relazione di cura e di fiducia” tra medico e paziente, in verità in tutto il resto della proposta di legge è scritto che il medico deve dare attuazione alle volontà del paziente e attuare le sue disposizioni, termine che sostituisce nella legge quello di dichiarazioni e quindi le DAT si trasformano in “Disposizioni anticipate di trattamento” con le implicazioni che il termine comporta.
L’art 1.7 dichiara il medico esente dalle implicazioni civili e penali nell’attuare le volontà del paziente, praticamente depenalizzando il suicidio assistito o l’eutanasia, inoltre si dichiara che il medico è obbligato a rispettare la volontà del paziente senza lasciare spazio alla libertà del medico e alla possibilità di fare ricorso all’obiezione di coscienza, e nemmeno a scelte differenti basate sulla professionalità del medico.
Certo è giusto sottolineare l’importanza di informare sulla diagnosi, sulle terapie che si propongono e sulle conseguenze per il paziente, ma ci chiediamo se lo scopo non sia per chiari fini eutanasici, visto che la proposta di legge considera alimentazione e idratazione come terapie interrompibili, come riporta l’art 1.5. Oppure perché introdurre il termine qualità della vita (art. 4) che con la medicina non ha nulla a che fare e che è del tutto opinabile e arbitrario nella definizione che comunque se ne darà? E’ infatti soggettivo: dipende anche dalle condizioni psicologiche del paziente, dall’affetto che lo circonda; è infatti molto diverso se si è soli o se si è circondati dall’amore e dalle cure, infine è molto diverso definire la qualità della vita accettabile quando si è sani e quando invece si è ammalati.
E’ giusto che il paziente possa cambiare in accordo col medico la pianificazione delle cure con l’evolversi della patologia e fornire il consenso, ma nella legge non si dichiara mai la responsabilità del medico a cui sembra sia lasciato solo il compito di eseguire le volontà del paziente.
Il medico dovrà, tranne in caso di nuove scoperte mediche nel frattempo intervenute, attuare le DAT pur essendo state scritte prima dell’insorgere della patologia. Dovrà nell’impossibilità della persona di esprimersi, tenere conto del parere del fiduciario o dei parenti, anche in questo caso senza possibilità di obiezione di coscienza e con riferimento all’art 1.7 senza conseguenze civili e penali, quindi potenzialmente anche contro l’interesse stesso del paziente.
Ma dove va a finire l’alleanza terapeutica basata su un rapporto di fiducia tra paziente e medico, se il medico sarà obbligato ad atti contro la coscienza e contro la vita? Il suo ruolo sarà completamente stravolto.

 
 

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