Quattro Atenei romani: “Se il feto è vivo va sempre rianimato”

Quattro Atenei romani: “Se il feto è vivo va sempre rianimato”

Che sia di esempio a politici ed istituzioni, sottolinea Carlo Casini

ZI08020601 – 06/02/2008
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di Antonio Gaspari

ROMA, mercoledì, 6 febbraio 2008 (ZENIT.org).- I Direttori delle Cliniche di ostetricia e ginecologia di quattro Università romane (La Sapienza, Tor Vergata, La Cattolica e Campus Biomedico) hanno sottoscritto e reso noto un documento congiunto secondo cui anche in caso di aborto “se il feto è vivo va sempre rianimato”.

Il documento, che ha scatenato le critiche degli ambienti favorevoli all’aborto, è stato reso pubblico il 2 febbraio durante un convegno promosso dalle quattro cattedre universitarie, all’ospedale Fatebenefratelli di Roma, in occasione della Giornata per la Vita.

Nel documento è scritto che: “Un neonato vitale, in estrema prematurità, va trattato come qualsiasi persona in condizioni di rischio, e assistito adeguatamente”.

Secondo i cattedratici “con il momento della nascita la legge attribuisce la pienezza del diritto alla vita e, quindi, all’assistenza sanitaria”. Per questo, nel caso in cui un feto nasca vivo dopo un’interruzione di gravidanza, il neonatologo deve intervenire per rianimarlo, “anche se la madre è contraria, perché prevale l’interesse del neonato”.

Carlo Casini, Presidente del Movimento per la Vita (MpV), intervistato da ZENIT dopo aver partecipato all’Angelus di domenica scorsa insieme ad alcune migliaia di volontari pro life, ha spiegato che “a nessuno è permesso minimizzare il dramma, umano ma anche professionale, del medico che si trova di fronte, sul tavolo operatorio, un gran prematuro che emette piccoli gemiti e nelle cui vene si vede pulsare il sangue”.

Il Presidente del MpV ha raccontato che “può anche capitare – ed il Movimento per la Vita ha raccolto le incredibili testimonianze di medici, ostetriche ed infermiere – che i bimbi vengano messi sul davanzale delle finestre o addirittura in frigorifero per affrettarne la fine o semplicemente abbandonati a se stessi sul tavolo operatorio in attesa che la scintilla di vita autonoma si spenga in loro così da sollevare dall’imbarazzo genitori e medico”.

Casini ha commentato che “è un dramma strettamente connesso all’aborto cosiddetto terapeutico e che quindi può venire aggravato dalla non accettazione da parte della madre del neonato. La prospettiva di una vita gravemente menomata è certamente drammatica, ma almeno quando l’aborto è volontario c’è un modo sicuro per evitarla”.

Il Presidente del MpV ha spiegato che “una volta tanto basta applicare la legge 194 che, su questo punto, frena la sua complessiva ingiustizia.

Infatti l’articolo 7 non stabilisce soltanto che se il feto è espulso vivo dal corpo materno occorre mettere in atto tutte le cautele necessarie volte a salvaguardarne la vita, ma impone che ‘quando vi è possibilità di vita autonoma’ l’aborto è ammissibile solo nel caso di pericolo per la vita della madre”.

“Dunque se su tavolo operatorio si trova un esserino gemente a seguito di una interruzione volontaria di gravidanza, vuol dire che la legge è stata violata e dovrebbe scattare la sanzione di cui all’articolo 19”, sostiene Casini.

“Se si deve stabilire un limite temporale all’aborto terapeutico – ha concluso –, esso deve essere il più prudenziale possibile ed essere così basso da escludere in ogni caso – quindi anche se ve ne fosse una probabilità su mille – che all’orrore dell’aborto venga aggiungo l’orrore di un corpicino gemente che per sopravvivere deve correre il rischio di gravi malformazioni”.

 

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