Rischi di deriva del codice deontologico

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Rischi di deriva del codice deontologico

Come è ormai noto, la FNOMCEO (Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri) ha inviato agli ordini provinciali la bozza della revisione del Codice Deontologico Medico. Le prime osservazioni in risposta sono attese entro il 31 ottobre e l’approvazione conclusiva della nuova versione è prevista per aprile del nuovo anno.

La bozza della revisione, anche se a una lettura superficiale non sembrerebbe modificare molto rispetto al documento precedente, in realtà manifesta un atteggiamento “di fondo” sostanzialmente differente. Le modifiche apportate, almeno alcune, meritano una discussione e una riflessione.

La prima domanda, banale e un po’ provocatoria, è: c’era davvero bisogno di mettere mano al documento?

La percezione che si ha scorrendo il nuovo testo, è quella di avere davanti un “manuale di buona condotta”: a chi si rivolge? Nei confronti di chi bisogna comportarsi secondo i canoni descritti?

E’ chiaro che stiamo parlando del rapporto tra medico e paziente. Un rapporto su cui sono state dette, e scritte, fiumi di parole e tonnellate di carta: è evidente che non è possibile in questa sede ripercorrere sinteticamente le caratteristiche di questa relazione. Bisogna però tener presente che si tratta di una relazione tra due persone (nel senso più lato del termine) e che queste due persone si incontrano a motivo di una domanda di salute, una questione tra le più radicali che la vita può metterci davanti.

La sensazione generale nella lettura del nuovo documento è che la terminologia sembri, nel complesso, più impersonale e “funzionalistica”: lo si evince in diverse parti del testo, ad esempio nella abolizione della terminologia  “doveri del medico: libertà, indipendenza e dignità della professione” con un asettico “doveri e finalità della professione”.

Quindi, senza che venga detto esplicitamente, si coglie come la libertà del medico sia messa in discussione. La libertà non viene esplicitamente negata, anche se viene spesso sostituita dal termine di “autonomia” (art.4), che non è la stessa cosa. Anche se non viene negata, però, nella stesura del nuovo testo si ha la sensazione che la libertà debba essere in qualche modo subordinata ad “altro”: qualcosa di più rigoroso e, almeno apparentemente, obiettivo.

Particolarmente discutibile è l’articolo 22 , di seguito la versione attuale e la proposta di modifica:

Art. 22 come era

Autonomia e responsabilità diagnostico terapeutica

Il medico al quale vengano richieste prestazioni che contrastino con la sua coscienza o con il suo convincimento clinico, può rifiutare la propria opera, a meno che questo comportamento non sia di grave e immediato nocumento per la salute della persona assistita e deve fornire al cittadino ogni utile informazione e chiarimento 

Art. 22 come sarà

Rifiuto di prestazione professionale

Il rifiuto di prestazione professionale anche al di fuori dei casi previsti dalle leggi vigenti è consentito al medico quando vengano richiesti interventi che contrastino con i suoi convincimenti etici e tecnico-scientifici, a meno che questo comportamento non sia di nocumento per la salute della persona assistita. Il medico deve comunque fornire ogni utile informazione e chiarimento per consentire la fruizione dei servizi esigibili e a questo fine collabora con le aziende sanitarie.

Già dalla differenza tra i due titoli si coglie il rischio della deriva accennata sopra: non si parla più di autonomia e responsabilità del medico nel suo operato, ma si lascia intendere che esista un “già definito”, “un già giusto a priori”, al cui il medico deve sottostare.

Potrebbe essere interessante chiedersi: che cosa è veramente giusto a priori? La cosiddetta “evidenza scientifica”? Questa, in teoria, potrebbe metterci tutti d’accordo: salvo poi rendersi conto che talvolta le evidenze scientifiche possono essere anche messe in discussione, possono riguardare solo una percentuale dei soggetti studiati, anche se molto ampia, possono essere superate o rivedute da ulteriori valutazioni. Ma non è solo questo. Soprattutto chi non è “addetto ai lavori”, il paziente in primis, ma anche il medico, può aver assunto un convincimento scientifico magari in maniera indiretta, filtrato, in buona o cattiva fede, da altri strumenti: dai colleghi, dagli informatori farmaceutici, da internet, dagli amici, dai giornali, … .

Il discorso è delicato e non vuole diventare una incitazione al relativismo, ma vuole essere una salvaguardia del fatto che al medico sia possibile non agire obbligatoriamente secondo la richiesta (o pretesa) del paziente, ma secondo la sua “coscienza” (perché è stato tolto questo termine?) oppure il suo convincimento clinico. La “coscienza” è stata sostituita dal “convincimento etico”, che da un lato sembrerebbe rafforzare la motivazione di una posizione, ma dall’altro, nella accezione corrente del termine “etico”, sminuisce tremendamente il coinvolgimento personale del medico, come se anche lui fosse in qualche modo suddito di un “a priori” che non lo coinvolge e non lo interessa personalmente.

Il risultato che si otterrebbe con tali modifiche al codice sarebbe quello di rafforzare un cambiamento culturale (peraltro già pesantemente in corso) che appare di non poco conto. E’ come se fosse il contrasto tra due preconcetti, piuttosto che l’incontro tra due libertà.

Domandiamoci: c’è ancora la possibilità che ci sia il medico (con una coscienza, un sapere scientifico e una responsabilità) e il paziente che si rivolge al medico in libertà, e col quale instaura una relazione? Oppure il medico è ridotto a mero esecutore di doveri già prestabiliti, da cui è concesso di potersi discostare, salvo poi dover rendere conto dal banco degli imputati? Non possiamo non considerare il rapporto medico-paziente come un incontro tra due libertà.

La modifica della “o” in “e” (la congiunzione posta tra i “convincimenti etici” e i “tecnico-scientifici”) non deve sfuggire: è un ulteriore smacco alla coscienza del medico. Quella “e” starebbe a dire che i convincimenti etici devono sempre, sempre, essere supportati dalle evidenze scientifiche. Per carità, sarebbe ideale e anche molto comodo se fosse così! Ma con buona pace di tutti non è possibile. Esisteranno sempre delle umane eccezioni all’evidenza scientifica, anche la più onesta e curiosa. La coscienza dell’uomo è grande, perché può tenere conto anche di quelle situazioni, assolutamente reali, che non sempre possono essere dimostrate “scientificamente”.

Pericolosissima è l’abolizione degli aggettivi, chiari e inequivocabili, “grave e immediato” che stavano accanto al termine generico, soggettivo ed assolutamente interpretabile, di “nocumento”. Basta rileggere la frase nell’articolo 22 per capire cosa si intende, e quale deriva prenderebbe l’abolizione dei due termini dal testo.

Art. 4 come era

Il medico deve attenersi alle conoscenze scientifiche e ispirarsi ai valori etici della professione, assumendo come principio il rispetto della vita, della salute  fisica e psichica, della libertà e della dignità  della persona 

Art. 4 come sarà

Sul piano tecnico operativo il medico è tenuto ad adeguarsi alle più aggiornate evidenze scientifiche, nel rispetto della libertà e della dignità della persona, senza mai sottostare a interessi, imposizioni o subire suggestioni di qualsiasi natura. In particolare all’inizio e al termine della vita il medico, nell’ambito di una corretta relazione con il paziente, agisce sempre nel rispetto dei valori del Codice Deontologico

Dall’articolo 4 è scomparso il rispetto della vita (no comment!). La tutela della vita è rimasta nell’articolo 3, anche se non ha, nel testo, la stessa incisività della precedente stesura. Per inciso, sempre nell’articolo 3, il termine “sesso” della persona è diventato “sesso e genere”, una specifica francamente ideologica, poco chiara, e fondamentalmente inutile.

Art. 3 come era

Dovere del medico è la tutela della vita, della salute fisica e psichica dell’Uomo e il sollievo dalla sofferenza nel rispetto della libertà e della dignità della persona umana, senza distinzioni di età, di sesso, di etnia, … 

Art. 3 come sarà

L’esercizio professionale del medico è finalizzato alla tutela della salute degli individui e della collettività nel rispetto dei loro diritti fondamentali. Doveri del medico sono la tutela della vita, della salute fisica e psichica e il sollievo dal dolore e dalla sofferenza nel rispetto della libertà e della dignità della persona, senza distinzioni di età, di sesso e di genere, di etnia …

E’ già noto il malcontento diffuso trai medici per il progressivo svilimento della professione e la sempre maggiore burocratizzazione del lavoro. Secondo un sondaggio della Cimo, condotto su oltre 6000 medici, il 93% dei medici si sente equiparato ad un dirigente dell’amministrazione pubblica ed un medico su 2 non è più gratificato dalla pratica professionale.

Pensarsi solo come meri esecutori di regole significa, per definizione, che l’incontro con la persona non c’entra , eventualmente potrebbe essere un valore aggiunto dal buon cuore di qualcuno,  e che la persona paziente (da “patior”) non incontra una persona curante, ma incontra un ufficio e un’amministrazione, un potere anonimo e non personale. Questo stride tanto più se le regole, neanche tanto scientifiche, sono dettate a colpi di maggioranza, di magistratura o di martellamento mediatico e non dalla semplice osservazione di quello che, fino in fondo, è l’uomo.

Questa proposta di modifiche del Codice potrebbe essere in definitiva un ulteriore e pericoloso passo verso l’abolizione dell’atto medico e della professione medica, eliminazione dell’incontro tra persone che, fin dagli albori dell’umanità, sarebbe proprio di ogni professione di cura.

Dott. Andrea Natale e Dott.ssa Beatrice Binasco

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